Iniziamo dai luoghi comuni. I principali valori fondamentali dello sport sono: lealtà, equità, amicizia, tolleranza, rispetto per gli avversari. Poi, se si vuole riempirsi la bocca, c'è sempre qualche aggettivo di scorta per rimpinguare la lista. Lo sport, si dice, è pure scuola di vita. Anzi, una palestra di vita dove si forgia il carattere. Ma è proprio così idilliaco e spensierato il mondo sportivo? Basta andare un sabato pomeriggio su un qualsiasi campetto di oratorio o di periferia, dove si dilettano a calcio (o così dovrebbe essere) ragazzini di 10 – 12 anni, per rendersi conto che qualcosa, nei luoghi comuni, bisognerebbe modificare. Non tanto in campo, bensì sulle tribune, dove genitori infervorati misurano i decibel spronando aspiranti campioni in erba, dispensando consigli o ringhiando contro gli avversari. Difficilmente si incontra moderazione! Di fronte a questa abitudine ormai irrefrenabile, sarebbe opportuno far disputare a porte chiuse i campionati giovanili. Non riuscendo a prevenire educando, forse converrebbe reprimere sanzionando. Nella fattispecie, tuttavia, che cosa si trasmetterebbe ai bambini? E quale morale ne conseguirebbe? Appunto, l'etica nello sport: è ancora un sentiero percorribile? Quali potrebbero essere, nel calcio, l'insieme dei principi e delle norme che regolano la condotta umana (calciatori e genitori-tifosi), che si traduce praticamente con la definizione di etica? D'accordo, l'etica nello sport non può prescindere dalla peculiarità legata all'attività sportiva praticata. Ci sono discipline, ad esempio basket e pallavolo, in cui davvero si coglie ancora la sensazione di reciproco rispetto tra avversari. E' questione di cultura, in senso lato. Invece nel calcio, e parliamo soprattutto di settore giovanile, raramente si tengono in considerazione gli ideali (sportività, fair-play, rispetto delle regole, rispetto degli avversari), mentre prevalgono sempre gli aspetti competitivi (la vittoria), e si ignorano pure le motivazioni per cui ci si avvicina allo sport (agonistici, preventivi, educativi). Gli ideali sportivi tendono sempre più a scomparire, tant'è che difficilmente, se non ci si attiene alle qualità tecniche, si può distinguere una competizione ad alto livello, da un'alta amatoriale. Anche in quest'ultimo caso, ormai, non c'è più il semplice divertimento ad ispirare i partecipanti, c'è soltanto la competizione. In categorie adulte (Prima squadra, Primavera, Berretti, Allievi), in effetti, un minimo di competizione non guasta. Però questo non deve impedire il divertimento e comunque bisogna saper adattare gli aspetti agonistici (competitività) al contesto (età dei calciatori). C'è quindi ancora molta strada da percorrere, sempreché si possa riuscire ad instaurare un clima di serenità intorno a bambini che si avvicinano per la prima volta al mondo pedatorio. Lo sport, e nel nostro caso il calcio, abitua l'individuo a gestire situazioni che possono ripresentarsi nella vita quotidiana. Per questo bisogna “formare” i ragazzi e "informare" genitori, istruttori e dirigenti, liberando tutti quanti dallo stress della competizione e dalle troppe tensioni intorno ad un "gioco" che si registrano sia sui campi oratoriani, sia su quelli di società professionistiche.
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